Nazione, questa, nata nel 1971 per distacco dal Pakistan. Nel 1975 fu dichiarata “Stato
indipendente” dal primo Ministro Sheikh Mujibur Rahman, esponente della
Lega Awami, ucciso dai
militari nello stesso anno. Ne seguirono varie commissioni militari fin quando,
nel 1986, il generale Hossain Mohamad Ershad promosse e vinse il referendum che
legittimò il suo governo. La guerra indo-pakistana del 1971 che diede
origine al Bangladesh (dove il 90% della popolazione è musulmana, l'8,2% induista, pochi i Buddisti e i Cristiani) fu un successo di Indira Gandhi che, per i numerosi
contrasti che producevano difficoltà al vicino Pakistan, emanò la
legge marziale dando origine all'Haryana,
abitata dai seguaci della fede Indù, ed il Bangladesh, ove prevalsero i Punjabi, di culto Sikh.
Tutti questi elementi storici, culturali e religiosi
fanno rilevare l’importanza del viaggio del Papa, nonché i rischi che poteva
corrervi. Pericoli dei quali non si è preoccupato, volendo piuttosto
attirare l’attenzione del mondo sul dramma dei poveri e dei profughi e
appoggiare quello che ha definito “l’arduo processo di costruzione della pace e
della riconciliazione nazionale”. Un processo tuttavia che non si fa senza
giustizia e che ha bisogno dell’appoggio della comunità internazionale.
L’attenzione di Papa Francesco nei confronti dell’Asia,
pari a quella di Giovanni Paolo II, dipende anche dalla sua convinzione che
occorre una maggiore e continua evangelizzazione del continente asiatico,
essendosi sempre dimostrato il più refrattario al cristianesimo, pochi
infatti sono i cattolici in Myanmar e Bangladesh. Paesi nei quali imperano
povertà, sfruttamento dei lavoratori, difficile convivenza tra le religioni,
regimi alquanto totalitari e minacce (anche nucleari) alla pace. Una
realtà con la quale Francesco ha sempre manifestato di volersi
confrontare, come documentato dai suoi tentativi di dialogo con la Cina, dagli
appelli alla pace e dalle esortazioni alle Chiese locali.
Francesco ha chiesto “rispetto di tutte le minoranze”,
pur senza nominare in Myanmar direttamente i perseguitati Rohingya. Alla fine
però ha detto questa parola fatidica che tutti aspettavano. L’ha detta
incontrando e accarezzando i volti di uomini e donne e bambini ai quali sono stati
uccisi i familiari o che hanno dovuto fuggire braccati da militari. Il Papa ne
ha incontrati 16 a Dacca ed ha pianto con loro. “Dio – ha detto Francesco –
è anche Rohingya”. In Myanmar il Papa non ha usato la parola “Rohingya”
ma ha parlato di tutte le minoranze che subiscono le stesse cose senza
assurgere agli onori della cronaca. Ha detto che è necessaria la
cittadinanza per tutti, la distribuzione della ricchezza, la collaborazione per
edificare la pace nella società birmana. I decenni di dittatura militare
hanno creato ferite gravi nella società, per cui ha chiesto a tutti di
perdonare e di lavorare per la riconciliazione per allontanare la guerra in cui
tutti sono perdenti.
Per il Papa non è importante il tribunale
mediatico e la condanna ma tracciare sentieri di pace e piste costruttive di
speranza. E’ per questo che in entrambi i Paesi, in Myanmar e in Bangladesch,
ha rivolto un forte appello ai giovani per sostenere il loro entusiasmo e
proporre un cammino di speranza per il futuro. Il che significa non rintanarsi
nel proprio gruppo etnico o religioso ma aprirsi all’incontro.
La collaborazione fra religioni è l’altro pilastro
del viaggio: con la maggioranza islamica in Bangladesch e con quella buddista
in Myanmar è importante lavorare insieme per lo sviluppo, avendo a cuore
il bene comune. Per questo Francesco ha voluto incontrarsi con i leader delle
religioni e con loro ha condannato la violenza e il terrorismo che manipolano
il nome di Dio, ma soprattutto ha spinto ad impegnarsi insieme per una società
al cui centro vi sia l’uomo, a qualunque etnia appartenga. Un’ultima parola sui
Cristiani, piccola minoranza nei due Paesi, spesso nel ciclone della
persecuzione. Il Papa li ha elogiato perché, pur essendo un “granello di
senapa”, danno ristoro alla popolazione e ai poveri. La stima di cui essi
godono è dovuta anzitutto al loro servizio: scuole, ospedali,
cooperazioni agricole e di lavoro. E in questo servizio la gente scopre con
meraviglia l’amore di Gesù che si è fatto uomo per noi e per la
nostra salvezza è disceso dal cielo. Buon Natale a tutti!
Egidio Todeschini